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:quaddentro:

giovedì 15 luglio 2010

Apriamo le scuole!

Quando Papini lanciò il suo appello contro l'istituzione scolastica, probabilmente non si era reso conto che le scuole erano già molto chiuse:
chiuse erano le menti di chi, al suo interno, lavorava per chiudere quelle altrui, creando in questo modo un meccanismo di autoconservazione; chiuse erano le porte della scuola - chiuse al mondo e alla vita. Ed è ancora così, oggi più che mai.
No, davvero, le scuole devono essere aperte.
Apriamole, come nel corso di un'autopsia, per stabilirne le cause del decesso.
Apriamole al vissuto quotidiano di chi ogni giorno ha a che fare con esse, perchè una scuola che finisce dove finisce l'aula di lezione non può essere considerata altro che una vessazione, tutt'altro che formativa.
Strano che mentre Boccioni pensava alla "statua aperta", in compenetrazione con lo spazio circostante, Papini non abbia ipotizzato un'evoluzione analoga delle istituzioni.
Chiudere le scuole sarebbe fuori luogo, ma non più di mantenerle così come sono. Bisogna restituire la formazione alla sua funzione più nobile - quella di supportare e incrementare lo sviluppo del singolo individuo inserito in un contesto sociale - e per fare questo serve un nuovo modello educativo. Le conseguenze avrebbero ripercussioni sociali enormi.; infatti, se una scuola "chiusa" può nuocere così tanto, quella "aperta" rappresenterebbe una profonda speranza per chi come noi net.futuristi si augura un futuro pieno di menti creative e brillanti.
Il punto di partenza per tale rinnovamento è il Manifesto degli insegnanti lanciato in questi giorni sul web. Questo testo, frutto di confronti e dibattiti avvenuti nel ning "La scuola che funziona" - con la presenza dei net.futuristi Antonio Saccoccio e Mariaserena Peterlin - enuncia in modo molto schematico e diretto quella che sarà la base per un radicale cambiamento nel mondo della formazione. Ben inteso, il manifesto NON è un punto di arrivo: con esso viene a crearsi una nuova zona di sviluppo prossimale, che in questo caso non riguarda più i contenuti appresi dagli studenti, ma ciò che gli insegnanti dovranno imparare ad essere, perchè - riprendendo le parole di Antonio Saccoccio - il cambiamento auspicato è di tipo paradigmatico.
La sfida è aperta.
Apriamo le scuole!

lunedì 12 luglio 2010

Quello che rimane

Scienze della formazione primaria.
Quindi si suppone che si imparino i metodi migliori per aiutare i bambini nel loro percorso di crescita.
E invece mi ritrovo a dover constatare che quello che rimane nella formazione (per l'appunto) degli studenti non è il contenuto dei libri - che tra un Vygotskij e un Claparède, completati da programmazioni di esperienze didattiche, gli stimoli tutto sommato non mancano - quello che rimane, dicevo, è la virtualità, culturalmente appresa, dell'università e dell'istruzione in generale.
Mi spiego meglio.
Sto per dare un esame di didattica della matematica (in cui tutto ciò che è inerente alla didattica è magicamente scomparso) e mi sintonizzo sulle frequenze delle mie conoscenti per captare qualche informazione al volo. Ripassano, fanno bigliettini, si interrogano a vicenda. Quello che mi sorprende, è il modo in cui vanno in crisi alcune di loro per argomenti che non ricordano bene, nonostante siano molto intuitivi (sempre di matematica per bambini si parla...). Sono stupide? Sono ignoranti?
Niente di tutto ciò. Hanno la sindrome da virtualità indotta.
Ossia, non riescono a vedere collegamenti tra ciò che studiano e ciò che vivono; il libro per loro nasce a pagina 1 e muore a pagina tot. Tutte le loro conoscenze non servono a niente, il loro vissuto non deve esistere: l'esame, l'università sono microcosmi privi di nessi con la vita - appunto, virtuali, realtà simulate.
Ben inteso, non si tratta di un punto di vista degli studenti indotto dalla loro ingenuità, ma da un'azione massiccia di stiraggio da parte dell'istituzione scolastica, che educa fin dalla prima infanzia ad essere niente più che degli esseri privi di volontà, appiattiti, la cui esperienza non vale nulla.
Ovviamente, all'università si mantiene questa linea, e i metodi più avanguardisti vengono insegnati coi metodi più scadenti (e, da più di un secolo, scaduti).
Così, quello che rimane impresso nelle menti di questi ripetitori stirati, non è il contenuto, ma il modo in cui l'hanno "appreso" - e la grande stireria che si occupa di istruzione può stare serena ancora per un po'.

sabato 3 luglio 2010

Rumore formativo, pensiero enarmonico - parte 2

"Lo studio continuo e attento dei rumori può dunque rivelare dei godimenti nuovi, delle emozioni profonde.
Ricordo come ciò dovessero confessare, con profondo stupore, gli esecutori che ebbi per il primo concerto dato a Milano con gl'Intonarumori. Dopo la quarta o quinta prova, mi dicevano, che fatto l'orecchio e presa l'abitudine al rumore intonato e variabile dato dagli Intonarumori, fuori in strada prendevano grandissimo piacere a seguire i rumori dei tram, delle automobili, ecc. constatando con stupore le varietà di tono che riscontravano in questi rumori.
Erano dunque gl'Intonarumori che avevano avuto il merito di rivelare loro questi fenomeni."

("L'Arte dei rumori - cap.4: i rumori della natura e della vita", Luigi Russolo)

L'elettrorumorismo net.futurista NON è assolutamente un'attività puramente ludico-ricreativa.
Esso ha per fine l'emancipazione della sensibilità musicale, propria e altrui. Gli esperimenti di musicoralità lanciati da Gianluigi Giorgetti e quelli di technorumorismo ai quali hanno partecipato diversi net.futuristi, sono forse quelli che manifestano in modo più evidente quest'obiettivo: riuscite a immaginare come sarebbe ritrovarvi a "canticchiare" il rumore di un motore o il semplice parlato? Il passo successivo sarebbe riconoscere come "musicali" tutti i motori e tutte le voci.

Come aveva anticipato Russolo, la sensibilità musicale è solo una questione di abitudine; è molto più elastica di quanto si possa pensare, e con un po' di allenamento imparerà a distinguere la musica di ogni situazione.

L'armonia tonale, il solito ritmo in 3/4 o 4/4, altro non sono che semplificazioni del rumore così com'è, ossia complesso; col tempo abbiamo imparato, su basi che potremmo definire un prodotto culturale astratto, a commuoverci su melodie tristi e gioire con quelle allegre. Il risultato? Uno spietato e ininterrotto festival del plagiarismo, con canzonette sempre uguali e, proprio per questo, facili da dimenticare dopo pochi mesi.
E' giunta l'ora di piantarla definitivamente con queste buffonate usa e getta, e dedicarci alla nostra percezione, alla nostra conoscenza dello spazio circostante, così come indicava già Antonio Saccoccio in questo post.
L'elettrorumorismo net.futurista non darà mai l'intrattenimento sempliciotto di cui molti credono di necessitare.
Il rumore è un'arma dal forte potenziale formativo.